11 febbraio 2012

OSTE, VOLUME #3


Con lui sono di parte, per la precisione la parte del cuore.

L'unico problema quando ascolto un album di Tom Waits è che non riesco a fermarmi a uno solo, non ce la faccio proprio, al limite ascolto due volte lo stesso disco. Come stasera.
Le sue non sono canzoni, perchè "canzone" accostata a Waits è una parola che sembra vuota, ordinariamente banale.
Sono collezioni di momenti, storie tra la notte e l'alba con sembianze incomplete senza la partecipazione emotiva di chi le ascolta. Non sono cantabili, non cercano di piacere per forza, le screziature della sua voce graffiano e importunano il silenzio come vento, sembra che le scriva per levarsi della polvere dall'anima.

Mule Variations (Anti-, 1999) non è probabilmente il suo album più bello, ma è lo stesso uno dei miei preferiti, Hold on riesce a commuovermi ancora dopo mille ascolti nel suo incedere semplice, taumaturgico, Take it with me è un'apparizione in bianco e nero nella stanza e Big in Japan scava con le mani nude tra i pensieri. Per fare tre esempi.
Tom Waits può non piacere, la voce può sembrare poco aggraziata, ma ha un'intensità rara. W' un artista che sta oggettivamente all'opposto della banalità in musica e della musica fatta solo per vendere tanti dischi. Non è poco, dai.
Thank you, again and again.

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