24 marzo 2007

SYRAH - TA


Grandi vini e grande serata, anche se personalmente forse ho capito che la syrah non è tra i miei vitigni preferiti. Preferisco maggior finezza, acidità più fresca, profumi meno speziati e “corposi”. Gusti. Si parla comunque di un grande, sul quale ci sono ipotesi curiose nelle interpretazioni sull'origine geografica in base al nome (Siria? Siracusa? Shiraz?).
Personalmente, per parecchie decine di esperienze, trovo che nelle grandi interpretazioni, sia un vitigno di grandissima beva, anche sensuale.

Menu pasta cacio e pepe, goulash scomponibile e formaggi francesi.


Serata tra amici, no-pro, tre enoappassionati, un oste.
Il preferito, per me, Pavillion ’89 di Chapoutier, un grand vin che per un momento mi fa amare la syrah perdutamente: i profumi erano tantissimi, esplosivi mai troppo ridondanti e con una bocca e bevibilità eccezionale. Poi la meraviglia dell'Hermitage 1996 di Chave con pasta di olive ed erbe officinali in primo piano e un finale in loop infinito, mutevole e in progressione per tutta la serata.

Segue un solo discreto Sole dei Padri 2002 della siciliana Spadafora, dai profumi intensi, però giovanissimo in bocca, in certi istanti imbizzarrito al palato. A sorpresa buonino l'australiano Shiraz 1997 Wynns pur corto in persistenza e per me, banalotto nel gusto. Sempliciotto nei profumi l’Harys 2000, dell'azienda piemontese Gillardi. Chiusissimo (anche se a fine serata leggeremente meglio) e un po’ semplice il toscano Bosco, Tenimenti D'alessandro, addirittura muffe e polveroso al primo impatto olfattivo. Probabile bottiglia sfortunata, le due volte precedenti mi era piaciuto questo syrah toscanizzato..
Mezza delusione LaSizeranne 1990,sempre di Chapoutier con strani odori medicinali e gusto corto, acidità inesistente, forse l’età…


22 marzo 2007

PARLA COME BEVI

La critica e l’espressione di opinioni educate dovrebbero essere libertà naturali di un essere umano. A maggior ragione, vista purtroppo l’attuale scala di valori societaria, se l’essere umano è consumatore, e quindi acquirente, i suoi diritti potrebbero aumentare per diritto consumistico.
Quando mangiamo una pizza, un salame o una semplice bistecca abbiamo detto almeno una volta, in tutta tranquillità, mi piace o non mi piace.
E questo giudizio lo si è dato d’acchito, d’istinto, senza paura di essere ripresi per permettersi un semplice parere. Si capisce dove vado a parare.
Spesso noto nel giudicare un vino da non esperti, cioè i degustatori non certificati, una specie di timore. Lo noto nei forum, nei blog ma anche tra tavolate di amici. D’accordo, c’è un nuovo e più recente rispetto davanti a un vino più o meno importante e ciò mi rende felice. E’ riconoscimento della cultura della vigna, secondo me.
Ma ho invece la sensazione poco piacevole che certo patinoso eno-mass mediatismo degli ultimi anni, abbia creato un solco elitario tra i normali amanti del vino e gli esperti, generando una sorta di riverenza anzichè rispetto.
Un muro culturale probabilmente dovuto anche alla prosopopeica e incomprensibile difficoltà del linguaggio tecnico di tanti (non tutti beninteso) divulgatori del vino. Non mi sembrano granchè utili alla conoscenza di questo mondo, i soloni che tra le righe ammoniscono il profano dall’osare commenti.
Quell’indifferenza saccente che ostentano, a meno che si conoscano le botti usate, le rese in vigna, il numero di rimontaggi, i giorni di contatto delle bucce, il nome del cane e il piatto preferito del viticoltore in questione.
Non penso che per dire se una bistecca è buona si debba andare ad assaggiare il foraggio, respirare la stessa aria, essere esperti di chirurgia animale e saper mungere la vacca che ci darà la succosa fiorentina.
Attenzione, non intendo far battute e generalizzare colpevolezze.
Cito subito per esempio due grandi scrittori, tra tutti quelli che mi hanno saputo avvicinare ad una bottiglia con le proprie parole : Gino Veronelli e Mario Soldati.
Poi anche nei forum e blog (Porthos, Gambero Rosso, Winereport, Lavinium…) se ne leggono tantissimi altri, sommeliers e non, appassionati e altruisti nella condivisione del loro “sapere”.
Sono assolutamente convinto che chiunque possa dare di un vino un parere personale (e singolarmente autorevole), magari semplicemente definendo il tipo di profumi evocati o il sapore in bocca. Una delle più azzeccate e sintetiche tra queste “note del Dilettante” l’ho sentita da Mario, amico enorme, nonché fresco papà e bassista, quando disse del Sassicaia ’98, “è una nuvola di vino in bocca”. Per me, la definizione perfetta della sensazione data da quel vino, in quell'annata Per informazione Mario non scrive sui forum, è ingegnere, ama il vino senza troppe “menate”, mai fatto corsi di degustazione. Eppure…
E’ chiaro che se invece si vuol dare un parere professionale su una determinata annata di quello specifico vino e del vitigno usato, addentrandosi in definizioni precise, si deve quantomeno avere un’esperienza diretta di decine di bottiglie bevute. Anche senza possedere titoli ufficiali, chi vuole dire qualcosa di più di “urca che buono” deve saper dare alla degustazione un taglio non serioso ma attento e consapevole, usando le proprie parole, non la pomposità di terminologie sentite in giro. A maggior ragione, se si desidera scendere nel giudizio specifico, si deve conoscere il vitigno, i sistemi produttivi, la geografia e la storia che danno vita a quel vino.
Ascoltando e imparando da chi sa di più, sperando che costui o costei non siano troppo intraducibili ad orecchie comuni. Altrimenti si che si può diventare come la macchietta che Antonio
Albanese ha superbamente creato. (per chi non l’avesse vista, mi riferisco all’imitazione del sommelier che dopo un balletto con il bicchiere e lunghi secondi di esasperati gesti rituali, finalmente alzando il bicchiere in controluce dice: “è rosso!").