7 luglio 2007

SQUAMA CONTRO PIUMA

Mi piace che in una serata con tanti vini l’abbinamento con i cibi sia studiato per offrire la migliore somma di piacere. Sì può fare con vini (o birre) semplici, con vitigni particolari o con grandi bottiglie. Ogni tanto, senza snobismo, è bello bere in Champion’s League, che per certi vini e vitigni obbiettivamente è la Francia, anche se da nazionalista spiace dirlo.
Il titolo della serata è incompleto e un filo impreciso, l’ho scelto soprattutto perché “suona bene”. Tanto è vero che il pesce scelto non ha squame e c’era anche del “pelo” come aperitivo.
Procedo con ordine.
Il jamon de pata negra bellota, ovvero il famoso prosciutto spagnolo di maiale iberico (quello grigio-nero) come mi è stato detto da un amico molto esperto, insieme allo champagne genera il nirvana gustativo. Posso solo confermare aggiungendo che il rosè è forse più indicato, ma è un dettaglio.
Sulla tavola c’erano tre bollicine straordinarie. Come si legge ovunque in questo blog, sono uno strenuo bevitore di rossi, i bianchi pur bevendoli, non mi danno le stesse emozioni, nonostante assaggi anche di Alto Livello. Gusti.
Però, però, lo champagne -quello vero- è un mondo che mi affascina il palato e l’olfatto e come effetto fa star bene la testa. Un piacere classico, direi.
Qui però urge un piccolo distinguo che mi è stato spiegato, tra lo champagne di nome famoso che si trova in grande distribuzione o anche nelle enoteche. Le bottiglie più vendute in Italia spesso sono le meno rappresentative della qualità e bontà della tipologia "bollicine" francesi. Un primo punto da seguire nell’acquisto, se non si hanno nomi consigliati, è cercare sull’etichetta le lettere RM, recoltant manipulant, cioè non un’azienda che compra uve o vini da imbottigliare, ma una famiglia, un vigneron che coltivano le proprie, le imbottigliano e le vendono. E’ un principio da seguire, con le dovute eccezioni, probabilmente per tutti i tipi di vino. Nella champagne questa dicitura credo sia obbligatoria ed aiuta nella classificazione (e quindi nella scelta). Conviene comunque sempre avere qualche nome di riferimento, poi anche tra le grandi maison qualche vino speciale si trova, magari a caro prezzo, ma si trova. Ci sono altre variabili importanti nella scelta, il produttore, la zone, i vitigni utilizzati, se la bottiglia è una cuvèe oppure un “millesimo”, però mi sto dilungando e non essendo esperto, prima mi informo un po’ e poi cercherò di raccontare meglio la mia esperienza.

Per ora parlo di questi tre "mostri" di goduria bevuti l’altra sera. Tre champagne diversi tra loro, ma con una caratteristica comune, la classe, con tutto ciò che ne deriva. Il primo Le Nombre D'Or Brut 2000 - Aubry Fils è fragile, sospeso tra la finezza olfattiva floreale e una raffinata semplicità. Il secondo è quello che mi ha colpito maggiormente Brut D'Autrefois – Corbon, ha il tappo antico, quello con lo spago, senza capsula metallica, come si faceva una volta (il nome Autrefois del resto…). I profumi salini e equilibrati li ricorderò per molto tempo, almeno fino a quando ne berrò ancora, perché di sicuro lo cercherò, mi sono infatuato. E poi in bocca è armonico quasi alla perfezione, nessun difetto solo piacere e una discreta lunghezza. Infine l’ultimo, Clos De Goisses 1996, Philipponnat, monsieur buum buum, l’esplosione, il rock and roll, miriade di fruttini al naso, in bocca una infinita ricchezza elegante e sostenuta da acidità a baionetta. Solo molto giovane, anche se è un piacere sentirlo così pieno di vita ed energia. Per i bianchi da uve chardonnay l’abbinamento scelto, sempre molto consigliato, sono gli sgombri (senza squame, vabbè..) gratinati al forno con Aiolì al basilico o all’origano fresco.
Il primo è un Puligny Montrachet Le Cailleret 1999 del domaine De Montille, per chi ha visto il film Mondovino era quel signore semplice, sulla settantina, calvo col basco in testa, che raccontava il suo "fare il vino" nella sua vigna, con amore per la terra e la tradizione. In una parola, un simbolo. E’ famoso e più produttivo con i vini rossi, però questo è realmente un grande vino, indipendentemente. Non mi ha colpito, a parte la grande mineralità sia al naso che al palato il Corton Charlemagne 1999 - Bonneau du Martay, troppo chiuso nei profumi.
Molto elegante e fine invece il Puligny Montrachet Le Cailleret 2002 di Boyer Martenot . Quello che mi è piaciuto meno invece è il Pouilly Fuisse 1997 "le clos de Msr. Noly" - Domain Valette che secondo me sta iniziando il suo tramonto ed il naso lo rivela un filo ossidato. Bella e ricca la bocca.
Poi finalmente i rossi e le quaglie arrosto con pancetta timo e vol au vent di fois gras. Qui l’abbinamento è davvero perfetto, tutti i partecipanti lo hanno eletto e apprezzato, e confesso, visto che ero il cuoco, mi sono sentito gratificato, ogni tanto l’ego….
Devo però sgridare me stesso (e gli amici bianchisti presenti) perché sono arrivato abbastanza provato dai 7 precedenti campioni al mio colore di vino preferito. Comunque sono stato premiato per l'attesa. Il primo, senza farlo apposta (la serata era a degustazione cieca, bottiglie con stagnola e nessuno sapeva cosa portavano gli altri a parte il tipo di vitigno, è ancora un vino di Hubert ed Etienne De Montille, uno dei più rappresentativi di questo Domaine, il Pommard Les Rugiens 1996, il barolò di borgogna secondo me. Questo perchè la aoc Pommard è infatti generalmente considerata la più tannica, con vini più “duri” in giovane età, ma straordinariamente complessi da adulti. E questo era quasi pronto, ne ho un’altra bottiglia, fra un paio d’anni ne vedremo delle meraviglie. Perché già ora è una goduria. Come dicevo questo tipo di vino fonde le caratteristiche che preferisco nei vini di Borgogna e in quelli di langa, come una sintesi. E’ profumato, fruttoso, ma con un nerbo e un tannino maiuscolo ma dolce ed integrato. La nota che mi ha affascinato di più è stata la buccia d’arancia, deliziosa. La bocca ancora "dura", stratificata in complessità. Poi è arrivato sulla tavola un altro pinot noir “mito” il Clos de Lambrays 2001, Domaine de Lambrays ed il mito del monopole è ampiamente comprensibile. E’ la Borgogna rossa che fa innamorare chiunque alla prima snasata. Fragoline e lamponi, ma nobilitati da spezie e incenso, profondità olfattiva e persistenza memorabile. Appena arriva in bocca poi è setoso, rivitalizzante, potresti berlo dopo venti vini e apprezzarlo comunque, da berne a secchi, peccato ne ho solo un paio di bocce. Terzo anche nei miei gusti Corton Bressandes 2004 - Tollot Beaut appena poco sotto i primi due. Forse i profumi sono troppo caricati dalla giovane esuberanza. Di certo l’età lo penalizza in complessità e mutevolezza nelle ore, però è un bere estremamente sensuale e appagante. Se ci fosse stata una gentil signora lo avrebbe amato sicuramente, sensualità femminile. Infine, trasgredendo ai vitigni “imposti” per la serata con i formaggi stagionati, abbinamento classico con il Barolo Cannubi 1998 di Chiara Boschis, abbastanza tipico nei profumi, solo un po’ troppo maturi, forse a causa dell’annata, ma comunque piacevole e anche complesso con quella noticina di cipria e un discreto finale. Fine.
E’ stato lungo questo racconto, spero non vi siate ubriacati troppo, del resto capita raramente una serata a questo livello, purtroppo.
Grazie di cuore a tutti i partecipanti, peccato per Antonio, ma ne abbiamo di tappi da far saltare, aspettiamo che torni l’autunno per i vini rossi…