28 novembre 2006

MEMORIA E CUORE

Ci sono attimi, immagini e suoni di serate nella memoria di una bottiglia di vino.
Imprimere il palato di un sapore e poterne riarmare la potenza con il pensiero, questo credo sia uno dei risultati appaganti da raggiungere per chi ama degustare.

Non so come funzioni ma penso sia più o meno come per un piatto di lasagne della nonna o una torta mangiata da bambini. Resta nella testa, come un file virtuale di piacere gustativo e soprattutto quando ricapita di avvicinarsi a un cibo di gusto simile, eccolo che affiora.

Per il vino a me succede lo stesso. Chiaramente, quando i tappi saltati alla scoperta di vini e gli anni sono tanti ci si aiuta con un notes, però quelli più buoni o i più bevuti stanno lì nella mente, un’iconcina alcolica con il suo bel dna di virtù. E’ bellissimo ritrovarli perché appunto possono addirittura richiamare al presente un momento, una serata speciale, oserei dire qualunque cosa.
Immaginazione e suggestione possono riuscire a rivelare il volto di chi lo ha fatto quel vino, il suo carattere, le sue mani.

L’evocazione attraverso il filo alcoolico dei ricordi e fantastica, un po’ Alice nel paese delle vigne; ecco, capita come se una bolla di vino mi si fermasse lì appoggiata sulle papille e quando mi sforzo riesco a ricordarlo con il pensiero.
Il passo finale è collegare il sapore ad un natale, una cena, un amico del passato, sarà banale, ma efficace. E’ noto che nei riti legati alle bottiglie ci sia lentezza, osservazione, piccoli effetti normali. A quelli speciali ci pensa il magico liquido, quando è buono.

A proposito, con ogni persona speciale condivido un vino, ed è molto bello berlo insieme negli anni, gustando le varie annate e appunto grazie alla memoria discettare con il classico “meglio il ’97; no più profondo il ‘98”.
Nell’amore per il vino risiedono piaceri ed emozioni semplici, sogni di mirabilie future in bottiglia ma soprattutto tanti e tanti volti che sono particelle del cuore.


*la foto è di Fabrizio Ghilardi

24 novembre 2006

LA FESTA

Aspettavamo da tanto la festa per i 18 anni di Marco nella villa dei genitori. Siamo stati tutti, almeno una volta, nella casa di qualcuno megaricco. Luoghi in cui non manca nulla, anzi tutto è superlativo nel superfluo, per degli adoloescenti praticamente un parco giochi.
C'era il grande giardino, il campo da tennis, la piscina, il campetto da basket e quello per il calcetto, persino una pista da motocross.
E poi alle feste di quel tenore economico ci sono sempre ragazze bellissime, vestite a modo e moda, irraggiungibili, sempre innamorate di uno più grande che fa quegli sport super esclusivi tipo surf sulla moto trainata da leoni o free climbing con aquila viva nello zaino. Comunque sia quelle piccole donne mettevano nelle nostre vene un'euforia frenetica che solo ad averla provata si capisce quanta adrenalina scateni. Infatti, anche se inizialmente era un party educatamente moderato, all'arrivo degli alcoolici il freno inibitore iniziò ad allentarsi. Ricordo che era di tendenza il gin in tutte le declinazioni, da fizz a tonic persino sour con lime (il limone da ricchi, abbronzato). Poi c'era birra, rum e cocacola e iniziammo tutti a ballare la musica che saliva di volume, urlando come selvaggi.
Ovvia...una festa di diciottenni, no? Ad un certo punto con altri due e il festeggiato entrammo in casa a prendere da mangiare e a giocare a biliardo tirandoci i tramenzzini, quando, ad un certo punto, ci accorgemmo che avevamo i bicchieri vuoti; fu allora che Marco, quasi ubriaco, ci disse di seguirlo che voleva farci provare qualcosa di speciale. Scendemmo una rampa di scale con esaltazione ma anche un pizzico di timore, fino a trovarci davanti una porta di legno massiccio chiusa da un lucchetto.
Marco prese la chiave da un nascondiglio e l'aprì, rivelandoci una cantina stupenda.
Laggiù il padre del nostro amico aveva raccolto bottiglie di ogni annata, formato e provenienza.
Erano sistemate in orizzontale negli scaffali di legno, con etichette appese al collo per indicarne nome e anno, soprattutto vini rossi, molti francesi con etichette eleganti e nobili, un mondo esclusivo e ordinato avvolto dal silenzio. Fu lo stesso Marco ad iniziare ad aprire uno di quegli scrigni impolverati e a buttarsi nel gozzo il nettare, senza bicchiere, senza aspettare, giù a garganella come una cocacola. Nella mia memoria sono impressi i momenti in cui trattavamo quelle delicate bottiglie come lattine qualsiasi, ricordo alcuni nomi, che quella sera storpiavamo ridendo da veri deficienti..." Chatò Lafitte, ah, si, ho una fitt qui al costat...ah ah...dai apri questo, deve essere amaro, si chiama Petrus...blahhh è pieno di fondo, dai aprine un'altra quella lì con l'etichetta con su il castello, dai si è del '69, il tuo anno, aspetta bella questa... ah ah senti che nome...Sassicaia, ci son dentro i sassi..." e qui vorrei glissare il resto ma purtroppo andammo avanti così per almeno un'oretta di tempo.
Divenne famosa quella festa per l'enorme casino che avvenne poi. Tutti i genitori che si telefonavano, il padre del festeggiato incazzato come un orco, risarcimenti organizzati, una dozzina di bottiglie rarissime stappate e tracannate a metà e per i colpevoli punizioni epiche. Niente più feste e addio vacanze.
Solo ora, anni dopo, capisco la rabbia di quel papà, e come mi girano a pensare che ho "bevuto" delle divinità così superficialmente senza esserne conscio, preparato.
Conservo un solo ricordo legato ai sapori di quella serata, quando alla fine della festa ho baciato Maria e lei mi ha detto: puzzi di vino.

20 novembre 2006

UVA NOSTRA

Durante la trasmissione "Bollito misto" (su Gamberorosso Channel il 18 novembre e repliche), Daniele Cernilli, grande esperto enologico, cita, con garbata ironia, l'intervista a una sommelier inglese probabilmente nota e autorevole. La milady avrebbe detto che il futuro del vino mondiale sarà del cabernet sauvignon per i rossi e dello chardonnay per i bianchi, aggiungendo che in Italia non si capisce nulla perchè vi sono troppi vitigni differenti e troppe zone di produzione. E allora? A parte che proprio nell'anno in cui Wine Spectator's assegna a un vino italiano il premio di vino dell'anno (Brunello Tenuta Nuova 2001, Casanova di Neri, anche se vino "modernista" e criticato come poco brunelliano) certe affermazioni sono quantomeno fuori tempo. E poi, dovremmo forse limitare la ricchezza di patrimonio delle nostre uve per uniformare al gusto della signora tutto il mercato?
Archivio subito l'opinione di questa esperta senza altri commenti, ha già detto tutto lei (so il nome di costei, ma non intendo rivelarlo per non darle neanche l'eco di questo piccolo blog...solo un indizio, è bionda e ha la faccia da cattiva dei fumetti).
Preferisco pensare invece a quanto sia gratificante e divertente avere nel nostro paese una tale varietà di sapori del vino. Perchè ognuno ha il suo carattere e personalità, perciò faccio un piccolo gioco con i vini rossi, con quelli che sono, secondo me, i vitigni santoni d'Italia, abbinandoli non solo al cibo ma a situazioni, musica e addirittura stati d'animo.
Sono 11 in totale come una squadra di calcio, e anche se ne mancherebbero tanti, forse questi a loro modo li rappresentano.

AMARONE (ok è fatto con tre uve diverse ma niente fiscalità, please, non siamo inglesi)
perfetto da bere fuori pasto, sotto un pergolato con amici, un mazzo di carte e musica jazz (Dado Moroni, Miles Davis, Wes Montgomery, John Coltrane).

NEBBIOLO (Barolo, Barbaresco, Gattinara)
cucinate un brasato al vino, invitando un ospite importante, serata di racconti, memorie e grandi storie, musica classica (Bach, Haydn, Mozart).

BARBERA D'ASTI (anche d'Alba e Monferrato)
si esalta bene con polenta e salsiccia in un'allegra festa primaverile e sound rockabilly nell'aria (Stray Cats, Eddie Cochran, Ramones).

SFURSAT (uva nebbiolo ma chiavennasca e per giunta "appassita")
della selvaggina in umido, fuori sta nevicando, camino acceso e discorsi profondi ascoltando i cantautori più intimisti (Bob Dylan, Silvio Rodriguez, David Bromberg, De Andrè).

TEROLDEGO SUPERIORE
un capriolo in umido con mirtilli, tavolata chiassosa e sincera, musica popolare folk/etnica (Goran Bregovic, Singing Clarinets).

BRUNELLO DI MONTALCINO (uva sangiovese grosso)
con cinghiale variamente declinato, una notte stellata, discorsi ironici e pungenti parlando di politica e società, musica rock classico (Grateful Dead, CCR, Pink Floyd, Dire Straits).

SAGRANTINO DI MONTEFALCO
perfetto sui dolci al cioccolato e castagne, una serata in campagna, pace e serenità, musica ambient, chill out (Pat Metheney, Gotham Project, Cafè del Mar).

TAURASI (uva aglianico)
pasta corta al raù (ragù), formaggi artigianali stagionati e pane rustico, tramonti autunnali in tranquilla solitudine, soul music di colore black (Marvin Gaye, Aretha, Bill Withers, Jackie Wilson).

MONTEPULCIANO D'ABRUZZO
costolette d'agnello arrosto, una rimpatriata di vecchi amici, allegria totale, musica reggae (Bob Marley, Peter Tosh, Gregory Isaac)

CANNONAU (uva che altrove è detta Garnacha, Grenache, Alicante)
la festa del porcetto arrostito (porchetta), estate con la famiglia, rapporti di complicità e tanta musica blues (Van Morrison, J.Lee Hooker, JJ Cale, Ry Cooder).

PRIMITIVO (quello che in USA è chiamato zinfandel)
pasta di grano duro con braciole di maiale, una serata amorosa, sensualità e funky music (Funkadelic, EW&F, Commodores).

Visto che appunto sono 11 come una squadra di calcio, ecco la panchina: Rossese, Dolcetto, Refosco, Negroamaro, Carignano.

E che la gentile sommelier inglese, dopo aver letto il libro della foto (ed. Hoepli), continui pure a bere solo cabernet così non avrà troppe sorprese dalla vita. Cheers!

VITI D'OGGI



A parte il giochino del titolo, bisogna riconoscere ai manager del vino l'applicazione di una sapiente strategia basata su seduzione ed esclusività (sia qualitativa che esibizio-edonistica). Aver creato negli ultimi 10/15 anni una specie di "privè" delle etichette blasonate significa fare ciò che i francesi da tempo ben sanno, ovvero conferire una forte riconoscibilità e un grande contorno mediatico per rendere Miti alcune viti. Del resto proprio i francesi, nel vino e in vari campi applicano il potere della seduzione anche estetica ed emotiva, utilizzando in toto la star-strategy del buon Jacques Seguela, pubblicitario (pensate al fascino e all'apparire di una fromagerie d'oltralpe paragonata a un nostro banco dei formaggi).
Quindi, da un po' di anni, anche in Italia sono stati creati e idolatrati brand, marchi, zone culto (basta andare a Bolgheri, tutto è vino), ma solo per alzare il valore anzi, la valuta, delle bottiglie. D'altronde è un fatto che parecchi vini aumentino il loro prezzo dal 10% fino al 25% in appena un paio d'anni; chi mi sa dire di un'altra rendita simile?
Purtroppo è in gran parte un'operazione di trucco, fornire al vino veste, buoni media, testimonials, eventi, in una gestione di business quasi sfacciato. Tutti hanno un ruolo e c'è un vino per tutti.
Temo che tutto questo possa stufare, wine bar di qui, degustazioni di là, tutto molto glam ma non altrettanto cult. Perchè alla fine si intuisce che tutta l'operazione si riduce solo a creare vini adatti a spuntare una valutazione alta dai vari critici o guide e lievitare di prezzo. Fine.
Con la conseguenza pratica che, come errato esempio (falsa imago direbbe il buon Roland), in tanti si mettono a fare vini molto simili tra loro, imitatori del Mito x o y e che costano più di 50€.
Vini con molto corpo ma senza anima, il body building del vino, corazzato di legno nuovo.
Perchè il Vendere è più importante che spiegare, narrare, affascinare.
Quanto manca un Luigi Veronelli, anche se prosegue con succcesso Critical Book & Wine (a Milano al Leoncavallo dal 17 al 19 novembre) e in tanti sosteniamo la sua proposta di far esporre dalle aziende sull'etichetta il prezzo di partenza, come per un libro. Per seguirne quindi le virtuosistiche evoluzioni economiche nel tempo.
Ripeto, a naso tutto questo spingere ed esaltare il vino/finanza mi puzza di solfiti, forse per i motivi demoniaci che spingono l'essere umano a diffidare quando viene trattato troppo da "consumatore"; ma attenzione, quando nascono i dubbi a volte ci si stanca.
Per quanto mi riguarda continuerò ad amare il vino, la sua storia, persino le etichette e covo la speranza di trovare tra qualche anno tante chicche invendute a prezzo diminuito (già su ebay si fanno certi affaroni). E se invece altre persone, passata la moda enologica, lasceranno tante altre bottiglie sugli scaffali?
Sempre più "consumatori" hanno capito che molte enoteche e rappresentanti e anche qualche azienda, marciano un po' con i prezzi, e presto diranno " ...chissenefrega del merlot in purezza barricato in botti di rovere di Slavonia, dammi il barbera da 7 €, anzi meglio, una cassa di birra...".

17 novembre 2006

IL ROMANZO DEL VINO

Il parallelo tra tipologie di esseri umani e vini è abbastanza risaputo.
Ne scrive divertendo Roberto Cipresso, winemaker ed enologo ne "Il romanzo del vino" (edizioni Piemme, pag. 316, € 16,90 ) in un capitoletto purtroppo anche troppo breve, forse un divertissement dell'autore, in cui i tipi di uva assumono le sembianze di persone. Quindi abbiamo i cugini cabernet, il dottor merlot e via leggendo e ammetto che dopo averlo letto ora ho qualche remora a bere lo chardonnay, paragonato ad un tennista biondo un po' fighetto.
Comunque oltre a questo divertente accostamento, è un libro perfetto per chi ha il piacere di saper de-gustare, è scritto con tanta passione, storie ed esperienze dirette, aneddoti raccontati con una scrittura agile e interessante anche per chi non è maniaco del vino. Non è un saggio tecnico, non ci sono decine di nomi di produttori e vini da memorizzare e nessuna scheda degustativa. Non è un romanzo nel senso classico, ma si sviluppa come un documentario su carta, in alcuni punti è anche poetico e certamente vissuto in prima persona.
Tra l'altro regalarlo è un piacere, come dare ad un amico un bicchiere di rosso, naturalmente Brunello (l'autore, oltre alle numerose consulenze, ha una sua azienda a Montalcino e consiglio anche il suo www.robertocipresso.it).
Tornando al paragone tra caratteristiche del vino ed esseri umani mi viene in mente un mio giochino, ovvero dividere tra vino maschio o vino femmina.
Ad esempio la Barbera, troppo facile, è una rubizza ragazza di campagna e il brunello un omone toscano, ma lo champagne è m oppure f o magari fm-minato?
La Falanghina, mmh, abbasta lu nome, evocatore di sensualità femminile.
Si può poi dire austero come un Barolo e ti vedi un nonno, quello che incontri appunto, solo nelle occasioni importanti. E qui mi fermerei, chi vuole può andare avanti e giocare ad abbinare.
Tornando a Roberto Cipresso (e a Giovanni Negri, coautore), mi conceda una chiusura da guida del vino : il suo libro è bellissimo, e il voto è 99/100 (il vino perfetto non esiste e si beve per continuare a cercarlo).

16 novembre 2006

BRRR...BRASATO E BARBARESCO

Oggi fa freddo, perlomeno in nord Italia. C'è quell'umido che permea le ossa e contamina l'anima quindi: brasato.
Diciamo innanzitutto che per me il brasato è una corrente di pensiero filosofico, senza esagerare è un piatto spirituale.
Si può brasare ogni tipo di carne ma l'apoteosi del palato si raggiunge con i tre tagli classici: ganascino, pesce e aletta, di manzo naturalmente. La mia preferenza va all'aletta, più magra e meno nervosetta degli altri due, anche se il ganascino ha un sapore appena appena più corposo.
Ogni ricetta di brasato è giusta secondo chi la cucina, questa è la mia.
Mettere in una ciotolona il pezzo di carne a marinare con due bicchieri di vino rosso, (una barbera base, un dolcetto o u
n nebbiolo vanno benissimo non il barbaresco, tenetelo per dopo) timo, alloro, cipolla, grani di pepe per almeno un paio d'ore.
Scolare ed asciugare la carne conservando solo il vino eliminando spezie erbe e cipolla. Rosolarla in noce grossa di burro e poco olio per cinque/sette minuti girandola un paio di volte. E' utile se si possiede, utilizzare una pentola di ghisa (il top) oppure in ferro pesante che possa poi andare direttamente in forno. Mentre si rosola la carne, a parte in una padella, preparare un soffritto classico (sedano carota cipolla) ed aggiungerlo solo quando la carne è ben rosolata insieme ad un pezzetto di lardo o guanciale fatto a dadini e un po' di sale grosso. Versare poi nella pentola il vino conservato dalla marinatura con un po' di brodo e mettere la pentola in forno a 160° per tre ore (quattro, cinque...dipende se lo volete morbido, al cucchiaio o...disfatto) controllando che ci sia sempre liquido a coprire metà carne e girandolo(usare brodo vegetale o di vitello NON il dado per favore). A mezz'ora dalla fine mettere un cucchiaio di concentrato di pomodoro. Togliere dal forno, levare la carne e lasciarla riposare. Frullare con minipimer il fondo aggiungendo brodo se troppo denso. Deve venire una crema marrone chiaro e dal sapore divino.
Tagliare o spezzettare la carne e coprirla con la crema della frullatura.
Servire con purea di patate (quello fatto con le patate) o con polenta, quella vera non valsugana.

E il barbaresco? Si è capito che in questo caso il vino era una scusa per fare il brasato?
Ah vabbè, allora, mentre la carne brasa in forno aprite una bottiglia di barbaresco, meglio se delle annate 1990, 1995, 1996, 1999, 2001 per berlo insieme al brasato e alla persona che si ama o ad amici veri.
Il freddo non passerà ma vi sentirete molto, molto meglio.

INGREDIENTI x 4

un bel pezzo di aletta di manzo almeno 1 kg
carota, sedano e cipolla
vino per marinare
pezzetto di lardo o guanciale
alloro, timo, pepe in grani, sale grosso
un cucchiaio di concentrato di pomodoro
olio, burro

13 novembre 2006

INASPETTATA D'ANNATA


Quando ci capita in mano una bottiglia non più giovane, diciamo con più di 10 anni, si ha subito il dubbio se convenga aprirla e rischiare la delusione o tenerla in cantina anche solo come oggetto decorativo. Personalmente penso che le nostre case siano già così stivate di oggetti inutili che a costo di restarci deluso, io la bottiglia l'apro sempre. Infatti ricordo che tempo fa mi regalarono "avanzi" della cantina di un nonno, una quindicina di bottiglie un po' avanti negli anni; iniziai con alcuni amici l'apertura di tutte, con i dovuti crismi ed attenzioni, pur temendo seriamente di non poterne bere nessuna. Ebbene infatti quasi tutte contenevano un liquido ormai esausto, acetoide e acre tranne una, un Barbaresco 1976 della Prunotto : quel vino era diventato una crema celestiale, ancora integro e bevibile e ci aveva fatto provare un'esperienza nuova ed unica (all'epoca era il 1998 per cui il vino aveva 22 anni!!!) e ripagato delle altre bottiglie "andate a male".
Questa infinita premessa per dire che ieri ho aperto con timore un Cabreo 1993, comprata per pochissimo (16 €) su www.ebay.it. Ero così incerto del contenuto (il livello nel collo della bottiglia era appena sotto la strozzatura, di solito non è un bel segno) da non aver nemmeno pensato a che cibo abbinarle, tipo quando dici vabbè proviamo ad aprirla ma....
Invece...era perfetta ancora nella fase ascendente (un giorno parleremo della vita di un vino) con un colore appena appena aranciato sui bordi ma che sapore, che profumi che felicità berlo.
E così con L. ce lo siamo degustato, senza nemmeno un pranzo in tavola, giusto un pezzetto di Reblochon (formaggio francese straordinario sembra come il figlio di Camenbert e Taleggio) e un paio di crostini con pasta di salame. Bellissimo pranzo domenicale. Con la miglior nasina che conosco.

10 novembre 2006

IL VINO E' VIVO

Qui si parla di vino rosso, di come cambi nel tempo, di bottiglie bevute, di nomi di uva, di miti, chicche da scoprire e tutto quanto esce da una vigna ed entra in un bicchierone baloon. Si raccontano emozioni personali abbinamenti, ricette con il vino e da bere insieme al vino. Qui si beve, e poi se ne parla. Salute!