21 aprile 2012

IL MIO VINO PREFERITO?


Un paio di amici che seguono il blog mi hanno fatto la domanda che ogni appassionato vorrebbe ricevere.
Prima risposta, il vino rosso.
Poi parlando di vino preferito, invece di citare solo qualche produttore del cuore, mi riferisco ai vitigni e alle peculiarità che il mio gusto preferisce.
Senza suspence dico subito che i miei vitigni preferiti sono il pinot noir tra i francesi e il sangiovese per l'Italia. Ovviamente la passione mi fa bere moltissimi altri vitigni, dai nobili nebbiolo a quelli con la "formula bordolese" (merlot+cabernet+altri), fino a quelli minori o meno conosciuti come lo spagnolo tempranillo o la schiava.
Ma i due favoriti assoluti sono i primi che ho citato. Perchè?
Quando ben vinificati e da terroir storici (Borgogna soprattutto e Alto Adige per il pinot noir e chianti e Montalcino per il sangiovese) riescono a rispondere e soddisfare quelle che sono le mie attese e passioni nel bere vino.
Amo i vitigni che riescono a coniugare in modo equilibrato i pregi per me indispensabili in un vino:

a) profumi che partono dal frutto rosso per spaziare su sentori balsamici, minerali, terrosi, esotici.
b) carezzevolezza al palato e acidità ben presente
c) bevibilità anche da giovani, non si vive in eterno
d) abbinabilità ai cibi, non si vive di pasticciata di cavallo
e) facilità di beva, la bottiglia deve finire

Con alcune ovvie differenze nel punto a), pinot noir e sangiovese (sempre quelli fatti bene) rispondono appieno a questi punti.
Non mi piacciono i vini che "eh, adesso è troppo duro ma vedrai tra vent'anni..." oppure i muscolosi di alcool e materia quasi masticabile, non impazzisco poi per quelli che al palato lasciano un'eccessiva scia di dolcezza "grassa" e non riescono a far illuminare il palato con la freschezza dell'acidità. I tannini non li amo troppo appuntiti che asciugano la bocca.
Fortunatamente molte mode sono passate e in ogni zona vinicola vi sono produttori ispirati che, per tirare fuori il meglio del dna di un vitigno, partono dalla tradizione con criteri moderni.
Una discreta metafora di come vorrei si comportasse l'essere umano in generale nella vita.

7 aprile 2012

NOMEN O MAN?



Il gioco di parole del titolo per dire che non è il nome che fa il vino, ma l'uomo.
Vale per tutti i grandi nomi di ogni tipologia, dal Brunello al Barolo e scendendo nel dettaglio anche per i comuni di produzione.
Ad esempio c'è un comune in Borgogna che si chiama Vougeot e i vini prodotti in quel fazzoletto di terra si chiamano Clos Vougeot e sono pure dei Grand Cru, ovvero il massimo riconoscimento ufficiale che un pinot noir può ricevere.
Ebbene, nonostante il nome, il titolo di Grand Cru ed i prezzi elevati, capita poco spesso di berne uno di altissimo livello. Via, ce ne sono di buonini, anzicheno.
Va detto che il C.V. è tra i territori vitati più estesi della Cote d'Or ma pare che in pochi posseggano le parcelle qualitativamente più vocate e soprattutto pochi produttori hanno realizzato grandissimi vini.
Cito alla memoria il Domaine Renè Engel ormai "estinto" come purtroppo il suo ultimo discendente Philippe, ma oggi il miglior Clos Vougeot, per costanza e qualità, secondo me è il Vecchie Vigne di Chateau de La Tour.
Ho bevuto pochi giorni fa il 2002, non era la prima volta e spero non sarà l'ultima.
Ricordo che per definirlo un caro amico usò un paradosso mistico "Se il Clos Vougeot v.v. 2002 di Chateau de La Tour fosse un dio, io crederei in lui".
In effetti si tratta di un vino "religioso", non solo per la presenza all'olfatto di notevoli e piacevoli sentori d'incenso ma per la profondità gustativa che ti riduce al silenzio.
E' una bottiglia che non divide praticamente mai chi lo beve, perchè ha una serie di caratteristiche che soddisfano in modo trasversale.
Ha quello che ci dev'essere in un vino buono.
Dai profumi al palato è tutto un fiorire di emozioni e quando inizi a berlo non ti accorgi che in un amen (rieccola, la religione) la bottiglia è finita.