15 dicembre 2010

VADO VIA CON LUI - parte prima

Stavo da più di un anno su quello scaffale da enoteca.
L'enotecario Nino è un assoluto incompetente, ridanciano e affarista; tutto quello che ha letto sul vino sono le cifre della macchina prezzatrice, tarati con ricarico alto.
In questi anni gli ho sentito dire sul vino una serie inenarrabile di stronzate, che ci vuole coraggio davvero solo per scherzo. La cosa più spassosa è che lui si crede autorevole quando le dice, anche quando parla con persone che si vede che qualcosa ci capiscono.
Una sua uscita fantastica fu ad esempio quando un cliente gli chiese quali uve, intendendo chiaramente quali vitigni, ci fossero nel Sassicaia. E l'espertone enotecaro con un sorrisone e un gesto verso l'alto della mano, a mo' di flamenco, disse "quali uve? le migliori...e non scherziamo". Quel "e non scherziamo" è una chiusura degna di Totò.
Comunque, a parte la distrazione delle gag di Nino, l'enoteca era un posto finto, con le luci alogene che scaldano le bottiglie, per fortuna stavo in basso, poi era un locale pieno di cesti promozionali di vino e barattoli di carciofini sott'olio fatti dal cognato (carciofini con il vino poi, non il massimo degli abbinamenti).
Insomma un posto che viene da maledire il rappresentante che mi ci ha portato (come omaggio ma questa è un'altra storia).
Per fortuna che ieri è venuto questo signore a portarmi via. Mi ha messo con delicatezza in una borsa sul sedile e mi ha lasciato in macchina mentre cenava con un amico che dopo cena è venuto a conoscermi e mi ha sollevato con gentilezza e rispetto. Poi il mio nuovo proprietario ha detto a questo suo amico che presto se la sarebbero bevuta insieme questa delizia, con qualcosa di pensato da mangiarci sopra e sono soddisfazioni che ogni bottiglia spera di incontrare.
Confesso piccoli brividi dei tannini, che per fortuna sono abituati da secoli a quanta dolcezza c'è ancora in terra.
Qualche minuto fa mi ha portato in questa piccola cantina di una casa silenziosa e fresca. Per fortuna mi ha tolto la fascia di cartone da imballo con il nome dell'enoteca di Nino, non sarebbe stata proprio una medaglia e poi non avrei visto bene.
Quando mi ha portato a casa era molto tardi.
E' una cantina scura, un solo locale, minuto, in cui c'è pietra, cemento e legno, nessun odore di salumi o peggio. E' semplice ma sembra un bel posto, c'è freddo e umido che fa bene al sangue, fa invecchiare tanto.
Mi ha messo in piedi in prima fila (chissà forse presto si va in scena), ma da qui non vedo altri scaffali di fronte, di sicuro ce n'è uno sopra e forse uno sotto. Ci sono cassette di legno in basso ma è ancora buio per leggere i nomi.
Intravedo due o tre bottiglie vicino a me, ma penso proprio dormano ancora.
Farei bene a dormire un poco anch'io, meglio essere in forma, che presto sarà tempo di presentazioni.
Speriamo che qui qualcuno parli anche la mia lingua.

14 dicembre 2010

VADO VIA CON LUI - ultima parte

"Maa teee tuu daindddove viieeeni?"
Era già la terza volta che la bottiglia dietro alla mia destra pronunciava questa frase, ma continuavo a non capirci molto, forse mi chiedeva chi fossi, così almeno la sensazione. Del resto che altro potrebbe chiedermi, non certo l'ora o il tempo fuori.
Sfortunatamente ad una bottiglia è precluso il linguaggio dei gesti, che aiuterebbe parecchio.
"Ti sta chiedendò de ou vien tu". Era la bottiglia dietro di me a parlare, un giovane Chardonnay della Val d'Aosta. Leggo sull'etichetta, un signor 14°, complimenti al bianco...
Gli chiedo come mai parla la mia lingua, mi spiega che il confine è vicino e qualcosina riesce a dire, mischiando anche un po' di dialetto locale.
E' allora che mi presento a lui, visto che sul retro non ho etichetta da leggere.
"Sono di Pommard , vigna les Rugiens, dalla Cote de Beaune, imbottigliato dal figlio di Hubert De Montille, nell'anno 1999; come bottiglia la mia storia personale è breve sono stato acquistato in cantina insieme a cinque "sorelle" da un rappresentante italiano che poi, per invogliare all'assaggio e all'acquisto di vini francesi, mi ha regalato ad un enotecaro idiota. Il quale appunto, mi ha messo in vendita immediatamente e pure in nero quindi. Ed ora sono qui"
Dissi la mia vita tutto di un fiato, per non sfruttare troppo intensamente i micro passaggi d'aria nel tappo che si usano per comunicare. Lo Chardonnay traduce all'altra bottiglia, credo parlino italiano, poi il bianco si rivolge a me: "Disce che avant lui non ne ha pas encontrèe di borgognonni, mais che il su' inventor est passionèe, vi ama beaucoup".
Tramite il traduttore valdostano si presenta a me quell'altro che prima non capivo: è un toscano, viene dalla zona classica e storica del Chianti, ma non è un chianti, storia lunga e assurda, dice.
Si chiama Pergole Torte ed è del mio stesso anno.
Gli dico un "ciao" rapido e torno in silenzio.
Tra bottiglie si parla poco, ho già spiegato che non si devono utilizzare troppo i microscopici passaggi nel sughero, per non allargarli e rischiare un invecchiamento rapido e poi, che vuoi parlare, a parte presentarsi e raccontare il minimo di sè.
Infatti è una vita sostanzialmente noiosa, la differenza la fanno i luoghi in cui si va a vivere, sperando di cambiare casa il meno possibile e invecchiare pian piano tranquilli.
Il resto del tempo è per prepararsi al momento più importante della propria vita, la stappatura. E' allora che il vino esce e può raccontare tutto quanto ha maturato dentro, senza trattenere più nulla.
La prima ed unica esibizione di ogni bottiglia, no reply.
Così, in silenzio, sono passati alcuni mesi dal mio arrivo nella cantina piccola e fresca.
Stamattina è passato il proprietario, ogni tanto scende, anche solo a guardare le bottiglie, a sfiorare le etichette, sorridendo. Ma oggi è stato diverso. Mi ha sollevato in alto col palmo della mano, guardando concentrato in controluce il vino. Poi invece di rimettermi sullo scaffale centrale dove stavo, mi appoggia su quello più in alto, dove non ci sono altre bottiglie ed è molto più buio.
Lo intravedo mentre guarda nelle cassette di legno e sugli scaffali, uscendo dal locale poco dopo con un altro paio di bottiglie. Tutto è stato abbastanza veloce.
Non capisco il cambio di scaffale, se è per qualche usanza che non conosco o se devo preoccuparmi. Spero che questo ripiano in alto sia per le bottiglie che sceglie di aprire quel giorno...ma si, è molto probabile, è arrivato il grande momento. Quello in cui si spera di farsi ammirare, di venire ricordati.
Prima di sera infatti, l'uomo viene ancora in cantina e con delicatezza mi prende e saliamo in cucina, c'è un profumo di carne arrosto, di bosco e di erbe; prende il cavatappi e andiamo in sala da pranzo.
La tavola è ordinata, ci sono tanti bicchieroni vuoti e cresce voglia di far bene la mia parte, tanto che trattengo il respiro mentre lui toglie il mio tappo.
Ohhhh.
Aia aperta, ossigeno, vita.
L'uomo avvicina il mio collo al suo naso, inspira e fa un grande sorriso; è tutto a posto, che gioia, ecco l'acidità che freme vibrante, sento la massa del vino che inizia a distendersi.
Poi mi appoggia sul tavolo e proprio vicino a me vedo un'altra bottiglia aperta, sempre di rosso.
Sull'etichetta c'è una donna disegnata, la scritta dell'anno, 1999.
Ma è il nome del vino che mi fa sussultare.
Pergole Torte.
E' la bottiglia che in cantina stava a destra, appena dietro di me, il Chianti che non sarebbe un chianti. Mentre faccio questi pensieri, arrivano altri due commensali e finalmente il nostro padrone di casa ci versa nei balloon.
I vecchi limiti di comunicazione con il toscano non importano più, sappiamo già le nostre storie, gli mando i profumi della mia tradizione, come un saluto.
Il toscano risponde contemporaneamente allo stesso modo.
Ora non ci sono più lingue differenti tra noi.
Nell'aria c'è la narrazione di diversi luoghi sulla stessa terra.

5 dicembre 2010

E' NOVELLO MA NON SI DICE

Ieri sera ho visto uno spot pubblicitario in cui un vecchio signore col cappello di paglia, parla in dialetto di ricordi e del vino che beveva da giovane.
Scorrono immagini di vigne, delle colline, in alternanza alle riprese con il parlato del presunto viticoltore. Quello che si percepisce dal taglio del filmato è un prodotto della natura di livello qualitativo alto. Solo verso la fine si vede il nome del prodotto, il vino si chiama Già, l'annata è il 2010. Quindi, ecco la sorpresa, è un novello.
Nel seguito del filmato, la voce recita i vantaggi e le qualità di questo tipo di prodotto, dalla bassa gradazione alla provenienza delle uve e alla fine, il nome del produttore delle langhe, Fontanafredda. Questa azienda, diventata famosa decenni fa per suoi cru du barolo è un produttore storico, che ha attraversato fortune alterne ed ora ha puntato molto sulla comunicazione, iniziando qualche anno fa con il restyling grafico delle etichette.
Non conosco professionalmente gli autori della campagna pubblicitaria, che trovo ben girata tecnicamente, luci ed immagini perfette, forse solo un po' troppo "pulite" da rischiar di sembrar fredde, ma è un dettaglio.
Oggi ho visto anche la pagina stampa su un quotidiano, in cui viene data rilevanza anche all'ecosostenibilità dei materiali usati (etichette, vetro, imballi) e alla provenienza da vitigni doc delle langhe (barbera. nebbiolo, dolcetto).
Trovo vincente l'idea di posizionamento e di marketing nel dare al meno nobile novello un'identità più precisa di quanto fatto finora. Anche altri produttori avevano dato un nome al loro vino novello in passato, alcuni ebbero anche un discreto successo ed eco mediatico (ad esempio il Nobellum dei Feudi di San Gregorio, incensato da Luca Maroni).
Però Già (quindi già vino), è un modo più innovativo di definire un semplice novello, un escamotage che potrebbe rivelarsi una molla per le vendite. Trovo ben fatta tutta l'operazione di comunicazione, soprattutto se paragonata alle pubblicità (banali quando non ridicole) dei vini in tetrabrik.
Peccato che a me il novello non piaccia proprio, nemmeno le più alte vette dei beaujoleis francesi mi hanno sedotto, nonostante un impatto di profumi davvero intensi e ricchi. I miei gusti, come si può leggere, sono per il vino da invecchiamento, quindi nonostante per curiosità proverò una bottiglia di Già (viene venduto solo in magnum da 1 litro), non diventerò di sicuro un cliente affezionato del nuovo novello con il nome.

2 dicembre 2010

LA NEVE E UN VINO

Quando di notte scende la neve, mi piace osservarla dalla finestra, luci spente e camino acceso.
Mentre guardo mi viene sempre voglia di un bicchiere di vino, non scelto a caso ma uno la cui uva o la cui pianta conosca la neve.
In molte zone vinicole italiane nevica, ma per me la neve si abbina ad un vino della langa piemontese.
I paesaggi di quelle colline sotto la neve sono vedute antiche, hanno la forza delle cose vere; non sono sempre da cartolina, a volte mostrano nebbia, foschia, colori sfumati in bianco nero. Si fanno vedere nel loro splendore interiore solo se le frequenti spesso, come con le persone quando prima si deve entrare in confidenza.

A parte le differenze di vitigni e blasone, quasi ogni vino di langa ha dentro la neve con i valori della pazienza, del silenzio dei vignaioli, del rispetto della natura.
Il vino che ho aperto è un semplice Nebbiolo 2007 della Cooperativa dei Produttori di Barbaresco, bottiglia da fascia media, meno di dieci euro per fare un viaggio, neanche tanto virtuale, in mezzo alle vigne di langa, con i profumi delle rose macerate, i piccoli frutti rossi che sanno di selvatico.
Quando il vino entra in bocca si sente la presa abbastanza vigorosa dei tannini sul palato, ma in pochi secondi e fatta l'abitudine, ecco un senso di freschezza, dato dall'acidità e dalla ancor giovane età del "succo", che ripropone il sapore dei fruttini di sottobosco odorati prima.
Un vino semplice, forse sobrio nella ricchezza dei profumi, ma serio e intimista, come molta gente che vive vicino a quelle vigne.